[Référence bibliographique: Rosalia Bivona, «La poesia del cassetto: voci algerine alla ricerca dell’identità perduta», in Hyria, Concerto per una identità mediterranea, n 71 anno XXII Gennaio-Giugno 1995, pp. 87-108.]

 

“LA POESIA DEL CASSETTO”: VOCI ALGERINE ALLA RICERCA DELL’IDENTITÀ PERDUTA.

                                                                          

         Chi è Sherazad? Non è solo la voce narrante delle Mille e Una Notte, ma è soprattutto una donna che pone fine, con la parola, alla fatalità della condizione femminile sottomessa ad un potere. Sherazad, grazie alla parola, è riuscita a riconquistare e a riscattare per sé e per tutte le altre donne, un ruolo ed uno statuto.

         Ancora oggi Sherazad può rappresentare un mito emancipatore in una società in cui l’integrismo degli uni si oppone all’integrità degli altri ed in cui, per tutti, uomini o donne, la presa di parola è sempre più difficile e rischiosa. La presa di parola può risolvere, al di là di ogni sorta di violenza, questa dialettica fatale fra FIS ed Occidente, fra democrazia e terrore, fra velo e libertà.

         Nell’ascoltare alcune di queste “poesie del cassetto”, ci sembrerà di percepire un’unica voce, un’unica storia, un unico ritmo, così come nelle Mille e Una Notte si tratta sempre di un’unica storia, quella di Sherazad che si racconta attraverso un immaginario che solo lei conosce, di cui è depositaria e di cui ha la facoltà di interromperne il flusso, senza mai porre una fine definitiva, prolungando così la “sua” realtà che coincide con i momenti di vita a lei accordati da un potere assoluto, cieco ed assetato di sangue.

         Il sacrificio di tanti poeti ed intellettuali algerini non è ancora bastato? Si aspetta ancora Sherazad? Oppure ognuno di loro altro non è o non è stato che una Sherazad imbavagliata e quindi incapace di riscattarsi?

         Si tratta di una poesia che circola clandestinamente negli anni 1980 -1990,  che sgorga dall’incrocio di tre lingue: arabo, berbero e francese, dando risalto ad una profonda unità creatrice.

         L’antologia dalla quale abbiamo scelto alcuni dei poemi più significativi è curata da Farida Ait Ferroukh e da Nabile Farès [1] e non è un caso che sia dedicata a Tahar Djaout, lo scrittore assassinato nel giugno del ‘93.

La poesia del cassetto

         La “letteratura del cassetto” è un movimento di ampie dimensioni, dotata di un corpus molto vasto, eterogeneo, dai confini vaghi, praticamente sconosciuto, perché la sua diffusione è sempre stata quasi segreta, limitata  nel tempo e nei mezzi, nessun editore si è mai preoccupato di divulgarla, i poemi circolavano ciclostilati all’Università, nei bar. In sostanza, in questa letteratura convergono diverse generazioni di poeti e di scrittori, ciò che prenderemo in esame in queste pagine è una breve scelta antologica tratta  da Effraction. La poésie du tiroir.

         Chi può definirsi “poeta del cassetto”? Sicuramente tutti lo sono stati nella fase che ha preceduto la notorietà e molti sono rimasti tali perché le loro opere non hanno mai visto la luce. "Letteratura del cassetto cosi' i suoi creatori chiamano le loro opere perché non hanno mai avuto la fortuna di farle pubblicare... ed eccoli nella marginalità. Alcuni faranno sentire la propria voce auto pubblicandosi. Ecco come sono nate le famose "Editions Rebelles", "Auto-Editions", "Editions du Stencil". Per molto tempo, G. Touati con altri poeti: Y. Sebti, D. Martinez, H. Tibouchi... hanno creato opuscoli da distribuire per strada oppure imporre, per esempio, durante un congresso ufficiale (1968) sostituendo ai documenti i loro scritti accompagnati da un virulento pamphlet. La tradizione si perpetuerà negli anni 1970  e 1980 - soffocamento e repressione permettendo - a sua volta anche Djamel Ben Merad realizzerà degli opuscoletti” [2].

         C’era chi leggeva i suoi poemi [3] al telefono, nei caffè, alla Fac Centrale vicino all'ex -Muro del pianto ribattezzato Vicolo della poesia, oppure a casa di Kateb Yacine che ripeteva: "libri e poemi son fatti per circolare", così si ricopiavano a mano i poemi per poi distribuirli in strada.

         Kateb aveva un ruolo di primissimo piano, né padre, né mito, né maestro, ma un amico, un ascolto, una risorsa, Kateb Yacine ha costituto da solo un vero comitato di lettura o di scrittura, cosi' come ha fatto della sua casa un asilo per poeti, studenti, ottantottini. Kateb incoraggiava tutti a scrivere, specialmente le donne, perché, diceva, “sono già una bomba, e lo diventano doppiamente quando scrivono”. Tutti sono debitori di  Kateb, l'opera della gioventù di oggi è anche la sua, dato che ci ha investito parecchio.

Il percorso

         Tre lingue, arabo, berbero e francese, molti poeti ed un percorso che copre l'arco di un decennio. Si tratta di una data indicativa perché molti di loro, in realtà,  scrivono da sempre, tuttavia, questa produzione è segnata da due date importanti: primavera 1980 seguita dalla repressione; e la repressione dell'ottobre 1988 seguita dalla parola e dai primi frutti della democrazia.

         Poeti quali A. Ghezali, M. Ourad e R. Kaci vivono a caldo il movimento culturale all’Università e i primi due, assieme ad una ventina di altri compagni, saranno incarcerati.

         La repressione, il carcere, la tortura,  creano un clima di imbavagliamento, ma subito dopo l’88 emergono in massa poeti che scrivono in berbero [4], una lingua minoritaria che ha sempre rappresentato una no man’s land storica sociale e culturale, suscettibile di rivendicare forte e chiaro un'identità ed una libertà a lungo represse.

         L'università diventa rapidamente teatro della primavera 80, con slogan, manifestazioni...        La rivendicazione culturale ed identitaria è accompagnata da una grande rabbia di scrivere. Attorno a "Debza", troupe teatrale studentesca, nata dall'incontro di Méziane Ourad e Kateb Yacine - a cui appartiene A. Ghezali - si cristallizzano molti giovani fra cui una sfilza di poeti, come per esempio R. Kaci e Y. Nedjimi, e F. Ait Ferroukh verso il 1982. 

         Per accostarci a questo movimento proponiamo  una scelta di poemi preceduti da alcune notizie sull’autore.

·     Méziane Ourad, nato nel 1956, è stato prima professore di francese in un liceo, poi giornalista a Algérie-Actualités, Horizons, Jeunes-Afrique Magazine, Coup de Soleil, inoltre è stato il polo catalizzatore del gruppo Debza, scaturito dall’incontro con Kateb Yacine. Arrestato nel maggio 1981 è stato prosciolto nell’ottobre successivo dopo uno sciopero della fame.

DOMANI

prorompere

poi sgocciolare

lungo i muri dei palazzoni

Invadere la strada

per spezzarne la noia

innaffiare l’asfalto

per farvi sbocciare

Il garofano

Fondere per rinascere

Nuovo nel mondo color “terra”

Abbasso la geometria!

Sempre dritto, non c’è nulla,

Dovunque c’è la vita

che piange i propri amici morti

       su un letto di sapere.

L’amore giace accanto a lei

Con gli occhi stravolti,

nella sua mente un ricordo;

quello di un vero abbraccio

quello d’un incendio sterile

quello di un bambino nato morto

che non vuole morire

Questi campi, questi ruscelli...

sono troppo belli,

non posso separarmene!

E si alza

E se ne va

E la vede

       L’abbraccia

L’amore sorride

e tutto si spegne. [5]

Méziane Ourad divide parecchie esperienze ed idee con Rachid Kaci. Proponiamo un poema che porta la firma di entrambi:

Una mano gelata

       scorreva su una piastra

                                    radiante

La sfida era lanciata

chi dei due doveva fondere?

Una lacrima di passaggio

       guardò la giostra

       sorrise e poi andò via.

Da quel giorno

i figli del dolore

       hanno gli occhi asciutti. [6]

·     Rachid Kaci è nato nel marzo 1959 a Bégayet. Dopo un diploma di interpretariato all’Università di Algeri, ha lavorato come giornalista. Ha iniziato a scrivere verso i dodici anni e la sua produzione è notevolmente aumentata durante la primavera dell’81 quando fu arrestato assieme ad altri studenti.

Cantare la fonte

di queste lacrime

Oh così rassicuranti,

appannaggio di coloro i quali

sperano un giorno

di ricavare la felicità

dalla pietraia.

Cantare il passaggio

di questo sguardo estraneo

illuminato di mille riflessi,

sguardo che si abbassa

sotto il peso di tutti i suoi fiotti

di mendicità.

Cantare l’infallibile sogno

fra quattro mura viscide,

l’infallibile chiarore ritrovato

nell’oceano di sgomento

nella solitudine plurale.

Cantare il poeta

dalle palpebre ricucite,

dal sorriso smembrato,

mutilato del potere delle sue parole.

Cantare di essere più numerosi a gemere,

a serrare i denti

contro questo corpo imponente

indesiderabile per il suo voler impedire

l’infernale melodia dei lamenti.

Esser lì, tutti insieme

a cantare la terribile avventura

l’incredibile ballata

al di là dei cuori

Poi... poi distendermi finalmente

vicino al mio corpo e gridare con tutta la forza

del mio pianto, la mia ultima canzone!...[7]

·     Joucef Nedjimi, nato il 3 ottobre 1952 ad Algeri, musicista, fotografo, co-produttore ed animatore assieme a M. A. Allalou della trasmissione radiofonica “Sans pitié”, dall’ottobre 1988 al giugno del 1990.

Il mio dolore:

CIRCONCISIONE.

Le mie punizioni

LA SCUOLA.

Le mie scappate:

IL GIARDINO PUBBLICO.

La mia paura:

IL TRIBUNALE.

Le mie angosce:

MIA MADRE.

Le mie gioie:

IL CINEMA.

Le mie sofferenze:

L’ALLOGGIO.

I miei dispiaceri:

LEI.

Le mie debolezze:

I SENTIMENTI

  SENTIMENTI

  SENTIMENTI

  SENTILAIDO [8]

                                    (Primavera 1982)

·     Abdelkrim Ghezali, nato nel 1956, in piena guerra d’indipendenza. Dopo una laurea in Lettere Arabe all’Università di Algeri si è dedicato all’insegnamento e poi al giornalismo. Scrive tanto in chaoui (dialetto berbero dell’Aurès) - sua lingua madre - che in dialetto algerino. Membro attivo della compagnia "Debza", gli dobbiamo i canti chaoui che la troupe annovera nel suo repertorio.

FADHMA

Fadhma, di fronte al focolare, il riflesso

della brace rischiara il suo viso

dimentica la profondità della sua notte

convoca il suo sole diurno.

Il mestolo le cade di mano

Fadhma eterna sognatrice,

donna che ha tanto atteso

che un’onda la spinga

verso il paese della libertà.

Il sole brilla sul suo viso

e le dice: “perché non vieni

con me ad incontrare i tuoi fratelli di sofferenza

perché non facciamo assieme lo stesso cammino?”

Contempla le scintille

che salgono e che scendono

vorrebbe unirle

per dire la sua con loro. [9]

·     Farida Ait Ferroukh, nata dopo l’euforia e la delusione dell’indipendenza, cresce nel clima della parola confiscata. Riappropriazione in e con la parola, esplosione perpetua di un corpo inciso nel trittico: donna-giovane-berbera...

        

AWAL

L’immagine è vittima di un rapimento violento

                 un dolore intenso

       la vertigine del mio corpo si spegne

                 nella mia bocca

Davanti ai miei occhi, giace un’ombra

                 Il segno agonizza

                 frammento d’un delirio mutilato

L’immagine soffre il percorso.

Reclamo il mio grido

                 parola bisbigliata

                 immolata

                 nell’amarezza.

Soffro la lingua

       mi avvicino alla parola

       che scivola via nei meandri

                 del mio tormento.

Le mie immagini non vogliono crepare.

Il mio corpo presente a forza di essere assente

Sono donna?            

                 grido

                 ombra

                 voluttà

                 o amarezza?

Le parole trasportano tutta la loro

                 carica originale

                 tutta la loro emotività

                          iniziale.

Il mio sguardo partorisce

dovere / vestigia

di un pensiero in perpetuo movimento

Traccia che genera in rappresentazioni

L’immagine soffre il percorso

Soffro per le mie voglie, le mie grida,

       i miei singhiozzi soffocati

soffro per le parole che martellano forte nella mia testa

                          che suonano ferree nel mio

corpo

partorisco versi troppo vividi

                          che volteggiano nelle mie vene e nei miei

sogni.

La mia lingua suppura il silenzio

spasmi verbali percorrono

       il mio spento corpo

Pute nella mia bocca

       Nelle mie viscere

Le parole sono...

le parole sono invisibili

                          in esilio

Babel

o Bab...

porta...

quale?

nessuna

      

       no

nulla!

Come calafatare con parole

                          l’apertura?

Come modellare la mia indicibile

                          angoscia?

Mi consumo nell’infuocamento

                          del mio alito

Il mio fiato aspira nella durata

                          del mio canto

esulto di consunzione

respiro l’allegrezza del poema

       che si libera nella  mia caduta.

Dimenticare la mia angoscia o morire.

Dalla tua lingua, Yi...

       dalla tua lingua

       corre la parola - estensione di un delirio

       ombra che accoglie una solitudine

       Sorriso che moltiplica i  miei sospiri.

Yi... impareremo assieme

       a sviscerare la paura

Yi... la mia lingua sa di muffa

       puzza di memoria-piaga

       braccata fin nel suo rifugio.

Rinuncio a dire “io” per occuparmi del mio appello, del mio interpellare che comincia in me  et che si prolunga in te.

AWAL la mia parola incessante, il mio eco reiterato.

AWAL annodato

copre la trama/fili

spazio-segno superstite del canto

eternizzantesi in un respiro/desiderio

Mia madre ombra-profilo!

Odio alle parole

isole yelle

amore tosato.

AWAL ti infrangi contro

       muri di insolenza

       parola errante senza dimora

                 senza un punto di appoggio

La tua voce non può crepare

Il canto, storia di sempre.

La scrittura!

                 la  mia passione rinviata

                 la mia intensa verità

AWAL amore mio

mia rivolta intatta! [10]

                                                      (Algeri, 1985)

·     Mohamed Arezki Hamour, nato nel 1961 ad Hakkafa, è un estremista della Democrazia. Da sempre aspira a “vedere proclamato in Algeria lo Stato di Diritto, vedere trionfare le libertà e la democrazia sul suolo nazionale, e rivedere FINALMENTE sui volti degli Algerini il sorriso”.

TE

La sorgente non aveva

la freschezza dei tuoi occhi

la sua acqua non scorreva

come scorreva il tuo ridere

per le pianure

le montagne e sotto i grandi alberi

che restituivano al tuo ridere

il suo eco di sogno. [11]

·     Youcef Mérahi, nato nel 1952 a Tizi-Ouzu, ha seguito degli studi economico-amministrativi e oltre ad aver pubblicato i suoi poemi sia su giornali e riviste sia in una raccolta, ha anche collaborato a diversi giornali.

Il poema possibile

Ad ogni appello del suicidio

Ad ogni questione del passato

La parola riconquistata

La madre riconosciuta

La mia pelle bianca

Il mio verbo pagano

Dio è in tutti i cuori? [12]

·     Nnaser Uqemmum, quest'attore si firma cosi', il fonema (U) dell'appartenenza reabilita il fatto di avere un senso nella e con la lingua materna che da assenza diventa presenza. Autore di opere inedite in tamazight, collaboratore di alcuni giornali in berbero ed animatore di corsi di tamazight.

LA STELLA (omaggio a Kateb Yacine)

Stella chi sei?

       Sono la scintilla ammirata

       al chiaro di luna:                 LUCE

       Sono la verità taciuta

       languida nella mia attesa:          STORIA

       Sono la donna del sermone

       abbandonata, la memoria si sovviene:        DIHYA

Stella chi sei?

       Sono la terra bramata

       in tutti i tempi:                    PATRIA

       Sono il verbo vivente

       nella fratellanza che si espande:                  LINGUA

       Sono la bocca che parla

       di cui ogni parola è benedetta:            MASSINISSA

Stella chi sei?

       Sono l’esempio palese

       che fra i suoi pari trascende:                GIUGURTA

       Sono la radice oppressa

       nondimendo di nobile rango:               BERBERO

       Sono Yacine, il compianto

       a mio riguardo avendo scritto:             YACINE [13]

                                                      (Ottobre 1989)

·     Mohamed Younsi, poeta e giornalista, nato in Kabylia nel 1962. Autore di due raccolte ancora inedite di poemi, è conosciuto per i suoi articoli giornalistici e per alcune poesie pubblicate su Voix multiples e Tin Hinan.

ATTENDO

Attendo gli occhi alle prese con l’orizzonte

finirò mai di attendere perché ci sono queste formiche

che mi scarnano i piedi per costringermi

ad andare via queste vespe volano a raso

del mio viso impassibile in reiterate incursioni

il mio orizzonte è fatto solo di queste ombre fruscianti

ai venti e che lacerano i rovi l’essere immerso

nell’assenza e le formiche si danno un bel dafare a scarnificarmi 

i piedi le vespe a prendermi per il loro nido

attendo c’è la tua immagine viva che ondeggia fra

i miei occhi come una farfalla che avanza pretese su

un fiore adesso le vespe suonano una melodia

et le formiche dansano sulle foglie morte [14]

                                               (Tratto da Échos d’outre-vie, inedito)

·     Mohamed Attaf, nato nel 1942 a Tizi-Ouzou, dopo studi di contabilità, ha uno studio di commercialista nella città natale, è uno degli animatori dell’Associazione di Studi Storici ed Archelogici della Willaya di Tizi-Ouzou. Autore di poemi, racconti e novelle, ha pubblicato essenzialmente su giornali e riviste tanto in Algeria quanto all’estero.

Dalla miseria degli uomini

Nascono giuste rivolte

E dalla panoplia di parole lucide

Si erge una filza di soli. [15]

·     Amer Ait Saâdi, nato nel 1964 a Darna (Tassaft), ha studiato arte drammatica e coreografia. Non solo poeta e giornalista, ma anche  pittore.

NEL MIO SOGNO

Nel mio sogno, un mondo insolito

       un immenso libro fra le mani

       Ho lasciato il paese

       dove mi veniva rifiutato l’ascolto.

Ho lasciato il paese

       le risate ed i sarcasmi.

Sballottato da un itinerario all’altro

fin verso la poesia.

Da quel pellegrinaggio

       sono poi tornato sui miei passi.

Il sogno si rifiuta di lasciarmi

       come se fossi nato con

un magnete e temendolo

       come un’orchessa.

Sonno e sorriso

disertano il mio corpo

fino a quando non raggiungo la poesia.

In fondo, proprio in fondo

la parola non c’era

gli artigiani l’avevano portata via.  [16]

                                   

                                             (1984)

·     Guy Touati, nato nel 1944 a Brest, un berbero-celta errante d’isola in isola, da Tamentit a Brégoulou, i suoi sogni sono ancorati nei Caraibi...

Nel corpo dell’H

delle foreste che mi dominano

vedo soltanto Hevea

che invadendo dissennato

il mio giardino di delizie

Hevea

ermafrodita

maschio insaziabile

o androgino

eva lubrica

offrendo humus generoso

a ripetute intromissioni di scorza

sforzandosi di issare edonistico vassallaggio

alle cime del Condor

       (... so dei Quechuas principio di vitalità

       che nè l’ispanica inquisizione, nè la schiavitù,

       nè l’alcool, nè la foglia di coca avrebbero potuto 

       corrompere.

       Ma allucinazioni non sono affatto sotterfugio,

       Sono lo iato ombelicale,

       Sono l’hapax del corpus,

       Sono un rifugio per te am...)

Evohe Wiracocha

del cielo e della terra e del sol levante

imploro l’ultimo sciamano

       di ravvivare letargica semenza

       di lanciare amazzoni soccorrere hevea

       profumare incisioni

       attraverso cui sanguina il mio essere. [17]

Una visione d’insieme

         Da questa breve carrellata risulta che i temi che attraversano questa poesia non sono solo la rabbia, la solitudine, ma anche la città di Algeri, che rappresenta uno spazio quotidiano, familiare, coi suoi quartieri, le sue strade e la sua Università.

       "Algeri si diverte

       Algeri corre

       Algeri ride"

scrive Mérahi in Algérimes.

         Lo spazio urbano è  vissuto fisicamente, sensualmente,  in tutte le sue fibre, tanto da poter proporre un parallelo con le tematiche legate al corpo ed all’amore, specialmente al corpo femminile, un “oscuro oggetto del desiderio” a cui fanno capo tutti i fantasmi. Donna? visione? o sogno? "... come se nessuna forma trovasse grazie davanti ai tuoi occhi sogno felice rapito alla mia vista in un batter di ciglia". (Younsi). Nominare il corpo respinto da una società, da un modus pensandi, significa attribuirgli un’identità, un ruolo.  Rivendicare il proprio desiderio significa rivendicare anche la propria parola. Nel corpo si inceneriscono "tutte le parole bastarde: le parole menzogne"; una scottante morsa (...) farà fondere  i trapianti della mia lingua", "una voce nuova faringalizza il silenzio" scrive Ait Ferroukh prima di terminare con "Awal", inno al corpo ed alla poesia.

         Si tratta di una poesia che interpella la memoria, la rimembranza, non solo emozionale, ma anche storica e politica. Il poema di Uqemmum sembra il luogo di una profonda ferita incisa nel corpo, una ferita a forma di stella, il cui balsamo è la Patria, Giugurta, Massinissa, Kateb Yacine. La rimembranza è vitale e virtuale al tempo stesso partecipando così  all’intertestualità poetica.

         Forse non si può parlare di intertestualità -  mettere cioè un testo in relazione con altri, diacronicamente - ma di transtestualità, per favorire un approccio quindi sincronico, simultaneo. In realtà, il testo deriva dall’intreccio di tre lingue. All'origine della parola testo è il verbo  tessere; e un tessuto variegato, dai forti contrasti, è alla base di questa letteratura in divenire. Ora, la scrittura di questi poeti non è mai in una lingua, ma nell'instabile intercapedine fra diversi spazi linguistici. il significato della lingua madre sgorga in seno all'altra lingua per introdurvi un respiro, una poetica immediata: Awal (la parola), iles (la lingua), yelles (tosato), Yi diminutivo di Yemma, "madre" in berbero). L'incrocio di lingue in questa raccolta fa si' che nessuna sia d'impaccio all'altra. Sono testi attraversati dallo stesso idioma, quello del desiderio: lingua del corpo e di un avvenire che non è riducibile all'antagonismo, una specie di reazione all'ideologia della separazione messa in atto dal potere.

         Anche scritta, la lingua madre impone i suoi referenti: da un lato il canto che costituisce la sua modalità performante: il poema Fadhma è stato composto per essere cantato sulla melodia di Suzanne di G. Allwright che a sua volta si è ispirato a L. Cohen.

Marginalità creatrice

         Siamo quindi in presenza di un plurilinguismo interno, implicito, come anche di una intertestualità interna, autonoma. È una scrittura costantemente sull'orlo dell'abisso, che non cerca una consolidazione, in quanto il processo creativo passa obbligatoriamente da tutti gli strati di una sorta di Ursprache, di lingua primordiale. Si tratta anzitutto di un tipo di scrittura il cui spazio referenziale è la nazione; una nazione inesistente perché dopo l’indipendenza non si è stati capaci di costruirla. Quest’incapacità è fonte di rabbia, di voglia di costruire, di gridare.

         “La lingua usata è spesso semplice e dietro questa semplicità - in filigrana - si cela un rifiuto della  ricercatezza, ne scaturisce un linguaggio viscerale, di grida, che si rifiuta di abbellire la realtà. Segnata del disgusto, dell'esistenza fallita, questa lingua della noia trapana la muraglia; la soddisfazione è questo giubilo interiore (Awal) per aver trovato le parole adatte per dei luoghi che non ne avevano più.” [18]

         Siamo di fronte ad una poesia del “non-luogo”, dell’assenza, che si allontana sempre più dal centro, andando sempre più verso margini e confini lontani per trovare uno spazio proprio, libero, che non sia un ghetto soffocante. Uno spazio sdrucciolevole all'interno del quale la scrittura slitta, ecco il pretesto per confrontare la propria scrittura con l'indicibile. L'indicibile sfugge, per definizione, alla scrittura.  E non è l'uso di una lingua ad introdurre la marginalità del testo letterario, ma lo statuto del testo letterario stesso.

         Il poeta non rientra nella norma, è un Majnùn e per questo è creativo, e lo spazio poetico, il suo impatto sulla società, derivano da questa marginalità.

         La scrittura è quella del desiderio, desiderio di sé, dell'altro, dell'altra lingua che non esiste, la lingua Ombra, quella dell'inconscio.

         La presente antologia si integra ad una poesia generale dell'Algeria, questa ricerca che va al di là della separazione tramite le lingue; i testi si integrano alla lunga ed antica storia della poesia algerina: pluralità di idiomi che si fondono in un'unità creatrice.

 

                                                                                     Rosalia Bivona



[1] Farida Ait Ferroukh, Nabile Farès, Effraction. La poésie du tiroir. (Anthologie poétique algérienne), Le Dé bleu - Le noroît, 1993.

[2]  Ibidem, introduzione.

[3] Alcuni poeti hanno pubblicato su riviste universitarie come Souffles ad Algeri oppure Voix Multiples ad Orano (M. Ourad), oppure hanno letto le loro poesie alla radio (M. Ourad e R. Kaci).

[4] Vedi i numerosi poeti pubblicati dalla stampa berberofona come Asalu e Tamurt.

[5] Farida Ait Ferroukh, Nabile Farès, Effraction. La poésie du tiroir. cit., pp. 22 - 23. La traduzione dei poemi qui presentati è nostra.

[6] Ibidem,  p. 28.

[7] Ibidem,  pp. 32 - 33.

[8] Ibidem,  p. 42.

[9] Ibidem,  p. 65.

[10] Ibidem,  pp. 72 - 75.

[11] Ibidem,  p. 93.

[12] Ibidem,   p. 106.

[13]  Testo berbero a fronte, Ibidem,   pp. 111, 113.

[14] Ibidem,  p. 122.

[15] Ibidem,   p. 127.

[16] Ibidem,   p. 137.

[17] Ibidem,  pp. 152 - 153.

[18] Ibidem,   introduzione p. 19.